OLTRE L’ ACCESSORIO: IL CAPPELLO COME SEGNO DISTINTIVO

Iconico, a volte indispensabile, altre deliziosamente superfluo.
Se siete curiosi … e lo siete, probabilmente vi state già chiedendo di cosa stiamo parlando.
Il cappello è questo e molto di più: è un oggetto camaleontico per natura, discreto ma sempre presente, capace di attraversare le stagioni senza mai perdere rilevanza.
SILENZIOSO PROTAGONISTA DEL GUARDAROBA, HA SUPERATO I CONFINI DELLE EPOCHE E DELLE MODE, REINVENTANDOSI OGNI VOLTA IN NUOVE FORME, MATERIALI E INTENZIONI.
Oggi lo chiamiamo ‘accessorio’, ma ridurlo a questo sembra quasi un torto. Il cappello è stato simbolo di autorità, distinzione, eleganza. Un elemento in grado di definire un look, completarlo, e talvolta perfino sovvertirlo.
Le sue origini sono antichissime: già in epoca preistorica, l’uomo si proteggeva dal freddo e dal sole coprendosi il capo con pelli e tessuti naturali. Nei secoli successivi il cappello ha assunto ruoli ben più simbolici, diventando strumento di riconoscimento sociale e linguaggio identitario.
Dal Medioevo al Rinascimento, da strumento funzionale a vero e proprio ornamento, ha raccontato il gusto di un’epoca e la posizione di chi lo indossava. Oggi il cappello si muove con disinvoltura tra spiagge, passerelle, città e campagne. Non conosce stagioni o confini geografici. È un universo ricco e variegato, popolato da modelli iconici, ciascuno con una sua identità, una storia e materiali specifici.
Eccone alcuni tra i più rappresentativi:
CAPPELLO DI PAGLIA
Estivo per eccellenza, intrecciato e leggero, evoca subito l’immagine del mare e delle giornate di sole.
CAPPELLO DA PESCATORE
Morbido, con falde ampie e un design pratico, nasce dall’abbigliamento funzionale dei pescatori.
KEPI
Di origine militare, è riconoscibile per la sua struttura rigida e lineare, spesso associato all’esercito francese.
FEDORA
Elegante e versatile, con tesa media e cupola bassa, nasce nell’Europa dell’Est e si afferma come simbolo di stile senza tempo.
T R U C K E R H A T
Simile al classico cappellino da baseball, si distingue per la retina posteriore e un dettaglio curioso: l’adesivo sulla visiera. In origine posizionato a destra per esigenze pratiche dei lavoratori, camionisti e meccanici con le mani sporche, è poi diventato un vero elemento di tendenza, oggi spesso spostato al centro come tratto distintivo.
COWBOY HAT
Icona americana per eccellenza, è inseparabile dallo stile country e western, evocando l’immaginario dei grandi spazi aperti.
Chi sceglie di indossare un cappello oggi, raramente lo fa per necessità. Più spesso è una scelta di stile, di racconto personale, di gesto estetico. Per alcuni è una firma riconoscibile, una costante.
Come per HARRIS VIGNOZZI, fondatore di Clochard9.2 e appassionato di vintage, per cui il cappello è una sorta di àncora quotidiana. “Mi fa dire ‘Oggi ci vuole un cappello’ il modo in cui mi sveglio. Se ho voglia di pettinarmi oppure no. Il cappello è la mia soluzione rapida, funziona sempre. Unisce praticità e stile, senza troppe domande” ci racconta.
Con ironia aggiunge che, se il suo cappello potesse parlare, probabilmente gli direbbe:
“Bimbo, io ti copro … ma una pettinata ogni tanto, eh!”.

Harris Vignozzi

Per lui vestirsi non è un atto superficiale, ma un modo per portare con sé memorie, valori, identità. E il cappello è lo strumento ideale per raccontarle, senza mai doverle spiegare. Anche per SHABAN ALI, raffinato interprete del menswear contemporaneo e promotore di moda sostenibile, il cappello ha sempre avuto un ruolo chiave. “Da piccolo ero affascinato dai cowboy e dai gangster nei film: il fedora, il panama, i cappelli western … erano il tocco finale perfetto. Ancora oggi, quando indosso un cappello, è per chiudere una storia. Per proteggermi, certo, ma anche per esprimere un’emozione, uno stato d’animo, un’identità”.
E non è solo una questione estetica: indossare un cappello, secondo lui, richiede intenzione, precisione. “A volte ti mette in evidenza, altre ti lascia sparire nella folla. È come un piccolo travestimento elegante: il cappello giusto ti trasforma”. Il suo guardaroba, in gran parte composto da pezzi vintage o second hand, riflette uno stile consapevole, capace di guardare al passato per costruire un presente autentico.

Shaban Ali

Il cappello è anche una costante nel look di FERNANDO PANE, Direttore Generale del Sina Villa Medici di Firenze, che nel tempo libero non ne fa mai a meno. “Ho sempre dato grande importanza ai dettagli del mio look, e il cappello è immancabile. Qualche mese fa ho scoperto un modello artigianale del brand fiorentino SuperDuper e me ne sono innamorato: linee pulite, materiali eccellenti, falda ampia. Perfetto per i miei ritmi senza rinunciare allo stile.”
Pane, napoletano classe 1982, è cresciuto professionalmente tra le più importanti catene dell’hotellerie internazionale. Il suo approccio alla moda riflette la stessa attenzione per i dettagli che lo guida nel lavoro: equilibrio tra estetica, funzionalità e un pizzico di ironia ben calibrata.

Fernando Pane (foto @albinashooter)

C’è poi chi ha fatto del cappello una dichiarazione visiva, quasi teatrale. Come GUILLAUME BO, consulente di stile e blogger franco-canadese noto online come Men Need More Style. Cresciuto tra beat hip-hop e le suggestioni estetiche di André 3000, ha portato nel mondo della sartoria maschile un’attitudine radicalmente personale. “Mi sento nudo senza cappello,” dice, con quella teatralità che lo contraddistingue. È una seconda pelle, un’estensione dell’identità.
Non è mai un accessorio, è il punto d’arrivo di ogni mio abbinamento. Il cappello completa, accentua, racconta”. Per lui, ogni copricapo è una dichiarazione d’intenti, una presa di posizione visiva. E se qualcuno lo indossa per nascondersi? “Va bene anche così. Mi piace brillare lo stesso”.

Guillaume Bo

Più razionale, ma non meno appassionato, è l’approccio di AMIDÉ STEVENS, fondatore del marchio olandese Amidé Hadelin, che ha fatto dell’eleganza senza tempo la sua cifra stilistica. Dopo una carriera iniziata con cravatte e accessori sartoriali, ha recentemente introdotto nel suo universo anche i cappelli. “Per me è una scelta che nasce dall’incontro tra stile, umore e praticità. Se indosso un completo sartoriale, il cappello è quasi inevitabile. Ma se sono con i miei figli, magari opto per un berretto: pieghevole, tascabile, comodo. Anche piccoli dettagli logistici influenzano lo stile”. E con un sorriso aggiunge: “Diciamo che è un bene che il mio cappello non possa parlare …”.

Amidé Stevens

Infine eccomi … sono CRISTIANO GASSANI e vi ho accompagnato in questo breve excursus, del resto, ho vissuto il cappello come compagno di viaggio. Da oltre vent’anni nel mondo della moda, il mio percorso è iniziato nei negozi, proseguito nel visual merchandising e nella consulenza stilistica, fino a toccare il design e l’analisi dei trend. Il gusto, per me, è sempre stato la chiave: quella sensibilità che permette di interpretare l’estetica, filtrarla, raccontarla.

Cristiano Gassani

Fin dai tempi del liceo ho raccolto oggetti, abiti, libri, dettagli. Un archivio personale che oggi è fonte di ispirazione continua. In tutto questo, il cappello ha sempre avuto un ruolo speciale: non un semplice accessorio, ma un punto di equilibrio o rottura in un look. Potrei definirlo un’estensione di identità. Che si tratti di armonizzare un outfit o spezzarne i toni con ironia, il cappello è un gesto consapevole. Un modo di comunicare, o meglio una vera e propria dichiarazione di chi siamo.
IL CAPPELLO NON È SOLO UNA QUESTIONE DI ESTETICA. È RACCONTO, GIOCO, PROTEZIONE. È UN RIFUGIO E AL TEMPO STESSO UNA RIVELAZIONE. COME TUTTI GLI OGGETTI CON UN’ANIMA, SA PARLARE. E SE LO ASCOLTATE BENE . . . POTREBBE RACCONTARE ANCHE QUALCOSA DI VOI.

di Cristiano Gassani

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