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“Io sono al mondo per stupirmi” – affermava Goethe – e chi oggi meglio di lui avrebbe potuto comprendere l’universo dandy, proiettato nella sorprendente mobilità contemporanea, fra materia e derive virtuali, eccentricità e conformismo digitale. Dandy Days, l’evento che si tiene puntualmente ad Arezzo, nasce proprio da questo bisogno di promuovere e riaffermare il movimento dandy in ogni sua forma e manifestazione, quasi per lanciare, attraverso la bellezza e l’eleganza, una sfida all’eternità. Epicentro concettuale dell’incontro aretino (del maggio del 2019 n.d.r.), organizzato da Alessio Ginestrini e Stefania Severi e capitanato dal maestro d’eleganza Stefano Agnoloni, è stato il talk show “Neo-dandy e Mondo Liquido. Raccontarsi fra eleganza e lifestyle, bellezza e anticonformismo”. Accorsi da ogni parte d’Italia, ma anche dall’estero, dandy d’ogni corrente o tipologia estetica hanno preso parte al dibattito ospitato in una piazza Grande animata dalla tradizionale Fiera Antiquaria, famosa in tutto il mondo quasi come Mecenate, Michelangelo, Guido Monaco e le altre glorie aretine. Se pensiamo di sapere tutto riguardo alla nascita e sviluppo del movimento dandy (un Lord Brummel non si nega a nessuno, e chiunque di noi sa come questo eroe della libertà individuale sia finito in miseria solo per affermare se stesso e la propria eleganza), molto più complessa e articolata sembra essere la riflessione sulle tendenze contemporanee, paradossalmente più frammentarie proprio nell’epoca della globalizzazione economica e mediatica. Eppure, per comprendere l’oggi, qualcosa occorre precisare sul concetto di dandy, non fosse altro per sottrazione. Guai a confondere un dandy con uno snob o peggio con un gagà: il dandy infatti non è un arrampicatore sociale, non ama l’outfit e i vestiti fine a se stessi: può arrivare a farsi linciare pur di difendere la sua libertà, il suo anticonformismo e il suo spirito ribelle. Vediamo: un dandy nega la naturalezza per l’artificio, preferisce l’originalità alla spontaneità, ama la padronanza di sé. Lo fa perché è convinto che nella società di massa la naturalezza non possa esistere. Tutto è ormai posticcio, codificato, falsamente democratico, frammentato. Il dandy ricrea la sua unità con i mezzi estetici: un vero e proprio narcisismo delle sfumature, che può sfociare nella più dignitosa e assoluta indifferenza. Oggi il neo – dandy ha un compito apparentemente più facile, ma in realtà difficilissimo: deve difendere la bellezza in un mondo ove tutti i parametri sono saltati, la vanità ha sconfitto il senso del pudore e la realtà virtuale si è imposta sulla materia, rendendo tutto possibilista eppure spesso non attuabile.
Ma torniamo al talk show. Secondo voi i tantissimi dandy coinvolti nel dibattito hanno manifestato una comunione d’interessi, affermato gli stessi principi, richiesto a gran voce la creazione di un ordine professionale? La risposta la conoscete già: neanche per sogno.
Perché il vero dandy non appartiene a nessuno, neppure a se stesso. Il confronto è stato stimolante, civile, sommamente creativo, a tratti esilarante, ma ognuno di essi è tornato a casa con le proprie colorate convinzioni. Forse è proprio vero: al ‘vero’ dandy non frega poi tanto se esista un movimento o una brezza di mare. Al massimo può riconoscere i suoi simili, degli ‘animali’ solitari che si muovono con circospezione come lui. ‘Essere di moda’ è un problema dei grandi brand, dei cool hunter o dell’advertising. ‘Essere di stile’ è certamente meglio. Ecco la grandezza del dandismo: anche in un mondo omologato, succube dei social e del consumismo d’ultima generazione esisterà sempre qualcuno che si oppone, che si ribella, che cerca una via alternativa per la bellezza, che in fondo è l’essenza profumata della vita vera. Eppure il dandy è meno solo d’un tempo. Dal talk show è emerso il gran desiderio di raccontarsi, per parole e soprattutto per immagini. Un vero e proprio ‘storytelling’ (termine entrato ormai a far parte con prepotenza del linguaggio contemporaneo) che i dandy sembrano saper affrontare con grande passione e competenza, quasi che fosse insito nel loro caleidoscopico codice genetico. Ci riferiamo allo stupefacente racconto di cosa davvero voglia dire ‘vivere da dandy’: tutto ciò in un momento storico che vede ormai il sopravvento della virtualità, dei social network e di una interconnessione personale straordinaria. Il dandy è sempre irripetibile, unico, monolitico, ma forse non più solo: l’intero mondo liquido sarà la sua ribalta mediatica, e il proprio elegante anticonformismo verrà finalmente condiviso sui social e nella ‘nuvola’ virtuale. Il ‘genius loci’ diviene così ‘genius mundi’. Come ci racconta Giuseppe Scaraffia nel suo Dizionario del dandy (Sellerio editore), “Il dandy è l’utopia dell’istante transitorio, come nostalgia della solidarietà fra soggetto e oggetto, tempo individuale e storia. Ma ben pochi sono in grado di scorgere il filo teso su cui cammina, o misurarne lo sconfinato abisso sottostante”. Quindi parliamo di etichetta, Galateo e, naturalmente, della loro negazione. Ogni società, in ogni epoca e in ogni luogo, ha avuto e celebrato un proprio bon ton, da rispettare e condividere. L’accoppiamento società/ etichetta avviene di solito in modo spontaneo – mentre la vita vive, così ingorda e immemore di se stessa – e perciò semplice e meraviglioso. Altra cosa è parlare di piena consapevolezza nella rappresentazione di se stessi. In fondo un dandy è un ‘situazionista’, un performer, un attore del famigerato ‘teatro dell’accumulo’, forse soprattutto un cospiratore. Qualcuno parla di Etica del dandy, e il concetto è così alto da far paura anche ai professoroni. “Etica, la dottrina speculativa che studia il comportamento dell’uomo in relazione ai due concetti fondamentali del bene e del male …”: possiamo pure aggiungerci il bello e il brutto (ovvero in soldoni l’Estetica), ma forse è meglio attestarci al concetto di Morale, più vicino alle nostre inconsapevolezze e ai nostri miseri limiti umani. Qualcuno ha affermato che i beni più preziosi di questa fugace e caotica contemporaneità sarebbero semplicemente il Tempo, lo Spazio e il Silenzio, come a dire che quando le forme sono più perfette, equilibrate, sostenibili, allora esigono meno ornamenti. Che sia un vestito o anche una casa: in fondo si indossano entrambi. Di certo il sostanziale agnosticismo di un dandy non è di natura intellettuale, bensì, come dire, panteistica. Egli pensa che tutte le cose siano magiche e poetiche, che il visibile (bello) sia la manifestazione sincera dell’invisibile (sacro). Consentiteci allora, per concludere, un caro saluto a tutti i dandy, di ieri-oggi-domani. Vogliamo farlo proprio con le parole del loro principe, il vecchio Oscar Wilde: “Il futuro appartiene al dandy. Saranno gli animi squisiti a governare”. Perché un po’ di sana utopia non fa mai male.
di Francesco Maria Rossi Photo di Lorenza Cerbini e Marianna Molinari
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