HAPPY BIRTHDAY MR. NEGRONI !

“Il Negroni è un Cocktail Dantesco, metafora perfetta della Divina Commedia: si parte dal bruciante gin che rappresenta l’inferno, si continua con il gradevole amaro del Bitter che funge da purgatorio e si conclude con il dolce paradisiaco del Vermouth”. Quando ho sentito questa metafora durante l’ultima Florence Cocktail Week (maggio 2019, manifestazione divenuta ormai simbolo della mixology italiana, giunta quest’anno alla quarta edizione, ndr) non ho potuto non innamorarmene. Il potere simbolico di questa frase va infatti oltre alla semplice figura retorica (per quanto a mio parere azzeccata), perché crea una liaison perfetta per raccontare il piccolo miracolo che quest’anno, grazie al centenario della nascita del cocktail si sta verificando: il mondo riconosce Firenze come la patria del Negroni, e cosa ancor più importante, i fiorentini si riscoprono orgogliosi ambasciatori di questo cocktail e della sua storia.

1919-2019: la nascita di una leggenda italiana.

La storia straordinaria ed avventurosa di questo cocktail, tra i più amati al mondo (ad oggi il secondo più bevuto, subito dopo l’Old Fashioned) affonda le proprie radici proprio nel capoluogo toscano, dove nel 1868 nacque da madre inglese (Ada Savage Landor, figlia del poeta Walter Savage Landor) e da padre fiorentino, il Conte Camillo Negroni. Uomo di classe e d’avventura, fin da giovane si contraddistinse per il carattere irrequieto, tanto quanto per la poliedricità dei suoi talenti. Durante il corso della sua vita girò il mondo, passando dal fare il cow-boy in Wyoming, al gestire una scuola di scherma a New York, fino al rientro in patria. All’inizio del ’900 la moda nel mondo dei cocktail si chiamava ‘Americano’, figlio dell’incontro tra ‘l’ora del Vermouth’ torinese e del Bitter Campari Milanese. L’intuizione gustativa del Conte fu quella di far aggiungere al barman Fosco Scarselli del Casoni (locale oggi non più esistente, sostituito per lungo tempo dal caffè Giacosa ed oggi da una boutique d’alta moda) del Gin. Un terzo ingrediente tutt’altro che casuale viste le origini albioniche del Conte Camillo, che rese il cocktail equilibrato e audace. Una versione che in breve tempo si guadagnò un grandissimo successo, legandosi per sempre al cognome del suo creatore e diffondendosi per il mondo.

Il ritorno a casa del Conte

Classico cocktail d’aperitivo, diffusosi all’estero anche grazie ai bartender italiani migranti (da sempre tra i migliori al mondo, reputati una vera e propria categoria d’elité a Londra) che se ne sono improvvisati inconsapevoli ambasciatori, anno dopo anno il Negroni ha conquistato il palato degli amanti del buon bere miscelato in ogni angolo del globo, dagli States all’Asia. Un’eccellenza italiana conosciuta ed amata, ma per lungo tempo orfana di una storia e di una patria. Se infatti oggi, a cent’anni dalla sua nascita, possiamo permetterci di raccontarne la biografia e rivendicarne le origini è grazie all’appassionato lavoro di ricerca condotto da storici del bar come Luca Picchi (autore del libro Negroni Cocktail, una leggenda italiana) che hanno saputo riscostruirne la storia. Il punto più alto di questo percorso è però senza dubbio stato toccato durante la già citata Florence Cocktail Week, per la quale l’organizzatrice Paola Mencarelli è riuscita a mettere insieme i maggiori esperti mondiali di storia del bar per una tavola rotonda, durante la quale è stata ripercorsa la storia del cocktail, della sua diffusione e del suo futuro. Nel corso della conferenza tenutasi al Palagio di Parte Guelfa sono intervenuti Davide Wondrich, Jared Brown e Anistatia Miller, Salvatore Calabrese, Peter Dorelli, Mauro Mahjoub oltre agli ‘italiani’ Roberta Mariani, Fulvio Piccinino, Luca Picchi e Alessandro Pitanti. Un evento unico nel suo genere, durante il quale una volta per tutte si è saldato il binomio tra il cocktail e la sua città, riconosciuto ora più che mai sia dai massimi esperti di settore a livello mondiale, sia dal pubblico. Oltre alla cultura teorica però, l’omaggio al cocktail del Conte si è propagato anche per le strade. I trenta cocktail bar aderenti alla kermesse fiorentina hanno proposto infatti a loro volta ognuno la propria ricetta che omaggiasse il grande festeggiato, variando ingredienti, stili e colori ma mantenendone inalterata l’anima.

Il futuro del Negroni

La metafora dantesca in apertura, come già detto, è tratta da un evento della Florence Cocktail Week; Paolo Ponzo (bartender e storico del bar) ha infatti presentato la sua scoperta più importante, il ritrovamento di un ricettario del 1947 intitolato Cocktail Portfolio in cui compare la prima codifica scritta europea del cocktail (precedente di 2 anni a quella spagnola fino ad oggi nota). Questo ritrovamento oltre ad essere estremamente emozionante per gli addetti ai lavori, porta con sé anche un importante messaggio: la storia del Negroni è lungi dall’essere stata scritta, così come il suo futuro. Le tracce che il cocktail ha lasciato dietro di sé sono diffuse e interessanti, e in parte ancora da scoprire, mentre il suo influsso sulle nuove generazioni di bartender continua ad ispirare. Se la ricetta originale è facile da riprodurre (bitter, vermouth e distillato) le sue variazioni e interpretazioni sono pressoché infinite. I tre prodotti di base possono essere scambiati in mille modi, usando amari della tradizione italiana o sfruttando il boom dei Craft Gin. La direzione della mixology internazionale, e di conseguenza italiana si muove d’altronde proprio su questi due binari, quello della tradizione e quello dell’artigianalità, e il Negroni non fa eccezione. Sempre di più all’interno delle Cocktail List è diffusa l’abitudine di proporre una ‘Carta dei Negroni’, con alcune varianti sul tema da provare, ma non temete di osare e di chiedere la vostra. D’altronde la cosa più affascinante del Negroni è proprio questa, è un cocktail che nasce da un cliente e dalla capacità di un barman di ascoltare e di capire il suo gusto. E in un’epoca in cui spesso sia gli addetti ai lavori che gli avventori peccano d’arroganza, il cocktail nato dal dialogo tra i due lati del bancone lancia un messaggio che tutti dovremmo sentire nostro.

di Federico Bellanca con foto di Martino Dini

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