Si fa presto a dire heritage!

Recentemente (nel 2018, ndr) è stato celebrato, in tutta Europa a livello globale, nazioanle, regionale e locale “The European Year of Cultural Heritage”. L’obiettivo dell’anno europeo dei beni culturali è stato quello di incoraggiare la società a scoprire e impegnarsi a valorizzare il patrimonio e a rafforzare il senso di appartenenza a uno spazio comune. Lo slogan è: Il nostro patrimonio. Dove il passato incontra il futuro.

Durante l’anno 2018, abbiamo visto svolgersi una serie di manifestazioni e iniziative in tutta Europa per consentire ai cittadini di avvicinarsi e conoscere più a fondo il loro patrimonio culturale. Il patrimonio culturale plasma la nostra identità e la nostra vita quotidiana. Ci circonda nelle città e nei borghi, quando siamo immersi nei paesaggi naturali o ci troviamo nei siti archeologici. Non si tratta soltanto di letteratura, arte e oggetti, ma anche dell’artigianato appreso dai nostri progenitori, delle storie che raccontiamo ai nostri figli, del cibo che gustiamo in compagnia e dei film che guardiamo per riconoscere noi stessi. Sono tanti, tra gli eventi e iniziative in programma, gli appuntamenti di quest’anno. Nella letteratura ufficiale dell’iniziativa, il termine ‘heritage’, è stato tradotto in italiano con ‘patrimonio’. Ritengo tuttavia – e questo è un raro caso – che il termine anglosassone identifichi con maggior precisione il significato della parola. Secondo l’autorevole dizionario di Oxford, il termine identifica un valore, tangibile o intangibile, trasmesso di generazione in generazione. A dire il vero il termine deriva dal francese antico. Patrimonio, viceversa e nella nostra lingua, assume il significato più vasto solo quando ci riferiamo anche al valore intangibile. Sappiamo tutti che l’Italia rappresenta il paese col più alto numero di ‘patrimoni dell’umanità’ secondo l’Unesco: foreste, borghi, centri storici, arte, monumenti e aree archeologiche. Pensiamo a quanto questa leadership si possa elevare considerando anche le tradizioni, la cultura, le memorie, la sapienza artigianale e manifatturiera.

Tutti i marchi di moda hanno un heritage?

Fatta la premessa etimologica, come spesso amo fare, cerco di addentrarmi in un tema vicino a quelli trattati da questa testata. Ho recentemente partecipato ad un convegno organizzato da CNA Federmoda. È stata una giornata di studio dedicata alla valorizzazione degli archivi della moda realizzato in collaborazione con Regione Lombardia. Tra i relatori Federica Rossi, del Museo della calzatura di Villa Foscarini Rossi; Danilo Craveia, di Museimpresa e Fondazione Zegna; Alessandra Arezzi Boza, Fondazione Emilio Pucci; Rita Airaghi, di Fondazione Gianfranco Ferré; e Elena Puccinelli, di Rinascente Archives. L’incontro si è sviluppato in una giornata di studio volta a raccogliere informazioni sulle attività svolte dagli archivi che conservano materiali inerenti il ‘sistema moda’. L’obiettivo era di capire lo ‘stato dell’arte’ e disegnare strategie per censire, tutelare e valorizzare al meglio gli archivi di tutti i soggetti, pubblici e privati, che a vario titolo custodiscono preziosi materiali del mondo della moda italiana, la seconda industria del paese, con forti legami con il mondo dell’arte dal quale, attinge e restituisce – da sempre – espressioni artistiche di altissimo livello. Impressionante è stata la presentazione, da parte dei rappresentanti di archivi e fondazioni, della mole di materiale censito, catalogato e messo a disposizione del pubblico e degli studiosi: disegni, tessuti, abiti, oggetti che sono nell’immaginario e nel desiderio di ognuno di noi; il tutto unito al racconto della precisione e delle modalità con cui è organizzata ogni catalogazione, conservazione e attività di reperimento dei diversi materiali. In tutti i casi, si sono predisposti ambienti, fisici e logici, realizzati con lo stesso meticoloso criterio utilizzato per custodire le opere d’arte più preziose. Si è tuttavia evidenziato che possedere, creandolo o ereditandolo, un patrimonio culturale è qualcosa che va oltre la semplice custodia o esposizione. È necessario che l’heritage sia parte del valore di un brand attraverso decisioni strategiche. Quando un brand è dotato di heritage significa che ha trovato la strada per sbloccare il valore dell’impresa abilitando il passato per agire nel presente e per rafforzare il proprio futuro. Dobbiamo essere tutti pronti ad affrontare una fase in cui le case di moda, caratterizzate sempre più da un elevato turnover, sentano l’esigenza di affidare ai propri archivi il compito di mantenere viva la memoria del loro passato e soprattutto di trasferire ai nuovi arrivati i codici del proprio DNA. Se, da una parte, sono molte le raccolte, gli archivi, i musei, dall’altra, ognuno si è organizzato a modo proprio e non esiste uno standard condiviso per la catalogazione, cosi come non esiste un archivio degli archivi, cioè un unico luogo da cui accedere a tutte le informazioni disponibili. Un luogo possibile con le attuali tecnologie che potrebbe essere messo a disposizione di tutti, per studiare, per documentarsi sul passato e cercare ispirazioni per il presente e per il futuro. Un luogo che serva agli studenti, al mondo accademico ma anche alle imprese e a chiunque nel mondo sia interessato alla moda italiana, al Made in Italy e all’Italian Style. Un archivio degli archivi, che sia un indice di tutto quello che abbiamo, di tutto quello che siamo e che conosciamo, che sia costruito con criteri di uniformità, e che sia facilmente fruibile, è interesse di tutti.

Si fa presto a dire heritage …

La vera domanda è: il tale marchio è un ‘heritage brand’ oppure un ‘brand with heritage’?

Non credo basti ispirarsi alle mode passate, recuperare qualche pezzo vintage e svecchiarlo per renderlo contemporaneo con un gusto retrò per essere un brand che racchiuda e veicoli un consistente patrimonio culturale. Il design nell’accezione più estesa e cioè ‘progettazione’, quindi produzione della materia prima oltre che disegno, funzione oltre forma, deve andare oltre. Il design deve far proprio il valore del passato, in modo olistico, e divenire un percepito superiore al valore oggettivo del singolo capo. Si devono confrontare la storia e la conoscenza con le esigenze contemporanee della società e del suo livello di civilizzazione raggiunto e auspicato.

Bisogna armonizzare il tutto con i temi politici, economici e sociologici oltre che, non ultimo, il tema dell’ecologia e della sostenibilità. Solo così archivio e conoscenza non rappresenteranno solamente il passato ma saranno una memoria che servirà a costruire il futuro. Bene quindi rifarsi alla memoria, rievocare costumi dal passato – retrò, vintage o militare, etc. – ma farlo in modo che rappresentino un valore, cioè un patrimonio, dell’umanità. Come una capsula del tempo che sia un lascito di valore partendo da quello che è stato fino a quello che sarà. Il patrimonio culturale avrà così un valore universale per ciascuno di noi, per le comunità e le società. È importante conservarlo e trasmetterlo alle generazioni future. Si può pensare al patrimonio come a ‘un qualcosa del passato’ o di statico, ma in realtà si sviluppa attraverso il nostro modo di rapportarci con esso e che con noi convive.

Saremo l’heritage delle prossime generazioni. Non dimentichiamolo

di Gianni Fontana

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