LA SAHARIANA DAL DESERTO ALLA METROPOLI

Sembrava una cosa da nulla, un’operazione commerciale senza importanza: quando Yves Saint Laurent inaugurava il leggendario negozio ‘Rive Gauche’ nel 1969 non si aspettava di certo quella folla di visitatori, banconote alla mano, disposti a svaligiarlo delle sue giacche sahariane rivisitate. Le colonie francesi erano finite (abbastanza maluccio) tra il ’56 e il ’62, e il tracollo e la rovina delle politiche dei ‘protettorati’ avevano portato a una vera e propria crisi umanitaria. Quei soldati coloniali, vestiti da vecchie sahariane kaki e beige, tornavano malconci da una guerra che non osava dire il suo nome.
SAINT LAURENT AVEVA REALIZZATO CON GARBO UN RIBALTAMENTO PROSPETTICO DAL DIFFICILE RETROGUSTO POLITICO: RECUPERANDO UN MODELLO ICONICO, TRADIZIONALMENTE RISERVATO AGLI OCCUPANTI, SE N’ERA APPROPRIATO PER CONVERTIRLO AD UN OGGETTO DI MODA TRA ARTISTI E FIGLI DEI FIORI, SMACCHIANDO LA SAHARIANA DALLE BRUTTURE DELLA POLITICA, COME A VOLERLE OFFRIRE UNA SECONDA CHANCE. NON PIÙ SIMBOLO D I UN COLONIALISMO TRUCE, LA SAHARIANA VIVEVA ORA LA SUA STAGIONE PIÙ BELLA, DIVENTANDO PER FINO UNISEX, IRONICO SBERLEFFO AL CONSERVATORISMO DELL’ ESTREMA DESTRA FRANCESE.


Saint Laurent non era certo stato il primo a fare atto di recupero di un capo la cui storia comincia alla fine del XIX secolo, tra corpi militari inglesi, avventurieri, cacciatori e esploratori. Come la maggior parte dei capi che fanno parte del guardaroba dell’uomo classico, la sahariana è di origini britanniche: gli inglesi la chiamavano khaki drill (dal nome del colore del tessuto e del tessuto stesso), ma anche bush jacket o safari jacket. Fu l’uniforme d’ordinanza per le truppe appena dovevano rendersi in zone desertiche o tropicali. Già nel 1943, con l’arrivo degli Alleati in Italia, appariva anche la versione in denim (beige o kaki), montata a camicia e non più a giacca: una versione più ‘light’ di grande successo anche tra i civili e che vediamo ancora oggi, seppur con qualche modifica, nei negozi d’abbigliamento.


Di questa giubba, ne esistevano (e ne esistono tutt’oggi) numerosissime varianti. L’antenata della sahariana, la vareuse degli anni ’20, si chiudeva fino al collo: era il modello detto saxe. Con il colletto saxe si poteva stare anche senza camicia: bastava fissare un solino staccabile nel colletto della giacca e l’onore era salvo. Ma con l’arrivo del normale bavero da giacca (adottato per ovvie ragioni climatiche), i nostri bisnonni avventurieri dovettero rassegnarsi a portare la camicia oppure – soluzione popolarissima – a mettere un foulard attorno al collo. Sotto il sole Africano, coprire la pelle non è un vezzo, ma una necessità. Il bavero della sahariana si apre insomma negli anni ’30. Ed è in quel periodo che la nostra giacca prendeva l’aspetto come lo conosciamo oggi: quattro tasche applicate a soffietto, una cintura, e eventualmente dei pantaloni assortiti adatti alla situazione (corti, jodhpur, o lunghi – la versione certamente la meno ‘da battaglia’).
La sahariana originale era fatta di cotone: necessitava di essere fresca ma anche resistente, una qualità di cui il lino è carente. Il particolare gabardine di cotone usato era stato brevettato da Burberry nel 1888 e da allora non è cambiato: lo si diceva adatto al clima, al sole, alla pioggia e agli strappi. Che fosse resistente anche ai morsi di tigri e leoni? L’uomo vorrebbe tendere alla perfezione, ma se la via per raggiungerla fosse segnalata non scivolerebbe così spesso e volentieri verso la decadenza. Insomma il gabardine, di per sé perfetto a sentire Burberry, venne smesso tra gli anni ’50 e ’60 quando vennero commissionate delle nuove giubbe coloniali fatte nel famigerato tessuto Aertex. Mal disegnate, scomode e dal tessuto che si rivelò piuttosto fragile, vennero definitivamente abbandonate, invadendo così il mercato del vintage. La sahariana non sarebbe completa senza dei pantaloni in cotone dalle qualità simili. Ed è qui che entra in gioco la famosa chiusura gurka. Il nome viene da un reggimento inglese coloniale, il gurka appunto (composto prevalentemente da soldati nativi nepalesi e del nord dell’India). L’uniforme di questo speciale reggimento, paragonabile alla Legione Straniera francese, diede nascita al celebre pantalone, che non necessitava più di scomode bretelle o di cinture, e che viene oggi declinato in un po’ tutte le salse.
IL COLORE TRADIZIONALE E’ SEMPRE STTAO IL BEIGE.  TUTTAVIA, LA GUERRA CONTRO I GIAPPONESI DIEDE NASCITA ALLA VARIANTE INGLESE DELLA SAHARIANA VERDE ( IL COSI’ DETTO JUNGLE GREEN): LE PRIME TRUPPE INVIATE A COMBATTERE L’IMPERO DEL SOL LEVANTE DOVEVANO TINGERE LA LORO SAHARIANA BEIGE PER FARLA DIVENATRE VERDE, UN COLORE CHE SI ANNERIVA QUASI IMMEDIATAMENTE CON IL SUDORE–DANDO AI SOLDATI L’ASPETTO DEGLI ODIERNI DARKETTONI MODAIOLI.
La variante civile della sahariana restava pervicacemente beige, anche se i coloni francesi la preferivano bianca, come la sahariana della loro famosa marina militare. Sbarazzata da mostrine e da bottoni di metallo, la sahariana entrava già nel corso degli anni ’20 a far parte del guardaroba maschile di tutti i giorni. La storica marca americana ABERCROMBIE &   FITCH ne proponeva perfino una versione in denim blu scuro, reclamizzata come giacca ideale “per lo yachtsman”!

Fabbricare una sahariana non comporta particolari difficoltà rispetto a una giacca sfoderata normale, ma come in ogni campo esistono gli specialisti. Storicamente, la sartoria AHAMED BROTHERS era reputata proprio per questo: aperta nel 1903 a Nairobi da due
fratelli di origini indiane, era meta del turismo internazionale più esigente. Celebrità del calibro di Ernest Hemingway, Clark Gable, Ava Gardner, Grace Kelly, Frank Sinatra, Rock Hudson, Kirk Douglas, Trevor Howard, Robert Taylor, William Holden si servirono al negozio degli Ahamed per i loro viaggi … o per i loro film (si pensi a Mogambo, La mia Africa, L’uomo dalla pistola d’oro …).
La sahariana non è mai passata di moda: e se quella di Saint Laurent ci appare oggi un po’ datata o leziosa, non sono rari  i marchi a riproporre giubbe di questo genere: recentemente, il concept store Belloveso (Milano) è stato usato come rampa di lancio per il modello in lino ‘a camicia’ della sartoria Santillo e per la sahariana di cotone più classica disegnata dai Fratelli Mocchia di Coggiola; quest’ultimo modello può essere anche completato da un paio di pantaloni lunghi assortiti.

IL SAFARI È PASSATO DI MODA, LA CACCIA VIETATA, E RECENTEMENTE CERTI SPIRITI ALLA BUZZATI TEMONO CHE GLI ANIMALI SELVATICI PRENDANO POSSESSO DEI NOSTRI CENTRI CITTÀ. UNA SAHARIANA DI COTONE ULTRA-RESISTENTE POTREBBE TORNARVI UTILE. DICO PER DIRE.
E se il rischio che vi facciate mordere da una tigre (o da un orso) è piuttosto astratto, c’è sempre il feroce cagnolino della vicina. Fategli testare la resistenza del gabardine di cotone: non ne avrete probabilmente alcun male, ma potrete fingerne per poi invitare più agevolmente la vicina a cena.

di Massimiliano Mocchia di Coggiola

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