WHO ARE THEPLAYERS: KEVIS MANZI
Abbiamo conosciuto Kevis Manzi durante una delle ultime edizioni di Pitti Immagine Uomo, la...
Martina Bonci, attuale Bar Manager di Gucci Giardino, è arrivata a gestire il cocktail bar in piazza della Signoria a Firenze, per caso, o meglio il fato ha giocato un ruolo fondamentale. Da studentessa universitaria di economia e management e giocatrice di pallavolo, a causa di un infortunio ad una spalla si ritrova costretta a fermarsi dall’attività agonistica e per caso, un suo amico gli chiede di dargli una mano dietro ad un bancone e lì è scoccata la scintilla con questa professione. Abbiamo avuto il piacere di conoscere Martina che si è raccontata a thePLAYERS Magazine.
Il tuo inizio sembra quasi una storia da romanzo, ma sicuramente avevi un’attitudine nascosta che aspettava solo l’occasione per emergere.
Sicuramente Leonardo, che è stata la persona che mi ha fatto conoscere questo mondo in maniera professionale, capì che io ero fatta per questo lavoro, seppe guardare lontano. Fu il mio talent scout, ed è stato bravo anche a non bruciarmi, mi ha tutelato dandomi i consigli giusti.
Come è proseguito il tuo percorso?
Premetto che quando inizio un progetto nel quale credo, sono una persona molto fedele al percorso intrapreso; questa è un po’ la mia cifra. Spesso in questo settore veniamo descritti come mercenari, che scelgono il lavoro in base alle offerte economiche che ricevono. Io invece credo molto che un qualcosa si sviluppi quando c’è veramente una crescita comune, una progettualità, degli obiettivi da raggiungere tutti insieme. Sono stata a Perugia dal mio amico Leo per due anni, trascorsi i quali sentivo che dovevo fare
un salto; è stato allora che ho conosciuto Martina, che è stata la mia ex-titolare per otto anni e con la quale ho lavorato da Gesto, dapprima in Umbria, poi a Firenze, per seguirne anche lo sviluppo; infatti abbiamo aperto a Bologna, poi due punti a Milano.
Da Gesto mi occupavo della parte food and beverage di tutti i locali.
Quindi tra i tuoi compiti c’era anche un aspetto manageriale…
Ho studiato economia aziendale e management, quindi tutta la parte diciamo tecnica di gestione mi piace molto, sono molto economa anche nella creazione, del resto business is business … Anche adesso, da Gucci, dove c’è la possibilità di poter fare molte cose, i conti devono tornare sempre.
Esiste anche un altro lato del bar, non solo la miscelazione, ovvero saper fare un food cost, un drink cost, saper organizzare un file che ti permetta di avere tutto sotto controllo a fine mese; è la parte meno romantica però necessaria. Anche questo condivido con il mio team.
Tu però di questo gruppo sei un po’ il volto mediatico…
Si, questa è la parte bella che ti permette di farti conoscere e di conoscere tante persone, però c’è sempre un rovescio della medaglia, ovvero quando c’è un problema devi essere tu a risponderne, come penso sia giusto, non possiamo prendere
solo le cose buone.
Dicevamo bar manager, dunque compiti manageriali, organizzativi, quali caratteristiche deve avere oggi un buon bar manager/ bartender …
Sono due cose diverse. Per esser un buon bar manager io credo che oggi sia fondamentale avere un’infarinatura di economia, saper usare un foglio excel, poter calcolare quanto costa esattamente un drink, riuscire a leggere una fattura, sapere usare gestionali che ti permettano di avere una prospettiva generale di tutto quello che è il nostro lavoro.
Poi è chiaro, devi avere delle conoscenze a livello di gusto, di olfatto che ti permettano di fare quello step, quel passo in più che non tutti riescono a fare. Io per esempio sono appassionatissima di vino, quindi mi ha aiutato molto l’idea degli odori, quelli primari, secondari, terziari, per poter poi sviluppare questo concetto in maniera identica nel drink; creare più strati, riuscire a capire le strutture degli ingredienti, avere la possibilità di lavorare, quasi costruire, un drink, come fosse un piatto.
Io ai ragazzi dico sempre di distruggere il prodotto prima di utilizzarlo, ovvero destrutturarlo per capire quali sono tutte le botaniche, le caratteristiche organolettiche, per poi decidere come valorizzarlo: questa è un po’ la mia idea di lavoro, dividere per poi creare. Importanti poi sono la fantasia, la creatività e la voglia di metterti in gioco ogni volta; il nostro mondo si spinge sempre più avanti, quindi devi riuscire a stare al passo con i tempi.
Però sempre con la valigia, perché ormai sei anche il volto di questo progetto, una sorta di PR …
Sì, è bello viaggiare! Le guest sono importanti sotto due punti di vista, il primo per vedere come lavorano gli altri bar, il secondo è vedere quello che offrono in altri paesi e metterti alla prova, per vedere come la tua miscelazione riesce ad intercettare questa domanda di posti molto diversi da Firenze o dall’Italia stessa. Poi naturalmente viaggiando si ha la fortuna di visitare tanti posti, di avere continui stimoli, di conoscere tante persone. Io mi ritengo una persona autentica, non costruita, riesco quindi a creare rapporti che mi portano collaborazioni belle e vere.
Pensando all’ultimo evento TCW / FCW ( Tuscany Cocktail Week e Florence Cocktail Week – Aprile 2023, ndr ) ed a tutti i signature cocktail che sono stati presentati, oggi secondo te fare un cocktail che diventi globale è più difficile …
Sai perché è più difficile oggi, perché la base in un certo senso è stata creata ed è consolidata. I nostri drinks più iconici, ad esempio, hanno delle preparazioni, delle personalizzazioni estreme. Fare il milk wash con lo yogurt all’ananas è molto complicato, perché è uno yogurt che facciamo noi, con una metodologia nostra e quindi renderlo un drink universale è quasi impossibile. Il negroni è più semplice anche se c’è l’infusione, la grammatura, il prodotto. Non dico che creare un nuovo cocktail globale oggi
sia impossibile, ma difficilissimo!
Oggi per fare la differenza, metti te stesso in quello che fai e successivamente lo trasmetti alle persone. Questa è la mia idea, quella che abbiamo noi qui al Giardino.
Invece i tuoi spirits preferiti quali sono, quelli che ti piacciono di più e quelli con i quali ti esprimi meglio?
Nell’utilizzo cerco di fare una drink list che sia più trasversale possibile, cercando di utilizzare tutti i prodotti, non ho uno spirits preferito nel lavorarlo, perché penso che ogni prodotto possa essere una sfida, mi piace riuscire a tirare fuori la parte migliore da ogni distillato rispetto a quella che è la mia idea di drink. Se invece dovessi scegliere per me direi d’estate tequila perché bevo Paloma cocktail mentre d’inverno whisky sour. Col tempo si cambia … prima whisky sour non l’avrei mai bevuto, invece ora non berrei mai quello che bevevo una volta.
Per ricapitolare qual è la tua filosofia di drink, cosa vorresti che un cliente dicesse degustando un tuo cocktail …
Oggi quello che vorremmo fare è di regalare non più soltanto una bella e buona bevuta, ma un’esperienza a 360°. Far ‘gustare’ la storia unica che c’è dietro un determinato drink; ovvero creare un legame tra drink, locale e cliente. Lavoriamo molto anche sull’inclusività, sui drinks analcolici, perché per tantissimo tempo l’analcolico è stato uno svuota frigo, invece ora ci piace l’idea di poter dire che bevo un drink buono anche senza alcol. Adesso è possibile, abbiamo i mezzi per poterlo fare, quindi è giusto farlo!
Quindi non sei una purista, sei una sperimentatrice …
Purista potevi esserlo tanto tempo fa, ormai non avrebbe più senso e sarebbe contro ogni logica.
Come si sta evolvendo questo lavoro rispetto a quando hai iniziato tu?
Innanzi tutto è cambiata la gradazione alcolica, prima si bevevamo drinks che erano veramente delle ‘fucilate’ di alcol! Ora le persone sono più disposte ad abbassare la gradazione e magari bere un drink in più per conoscere cose nuove. Prima la scelta era più limitata, non c’era tanta curiosità. Oggi invece è bello fare nuove scoperte. Le persone iniziano a capire che l’attività del bartender non è semplicemente mischiare cose, ma c’è dietro veramente tanto studio. Anche se non ci dobbiamo scordare mai che siamo un bar, ed un bar è un luogo conviviale, dove le persone devono stare bene, non si devono sentire giudicate, devono avere il loro posto felice.
di Simone Gismondi
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