VIVERE VINTAGE.

OLTRE L’ABBIGLIAMENTO UN VERO STILE DI VITA PARTE 2

ABBIAMO INIZIATO QUESTO ‘PERCORSO’ DI INTERVISTE LO SCORSO GENNAIO, (thePLAYERS MAGAZINE NUMERO 22, NDR) PER CHI CI LEGGE DA PIÙ TEMPO CI SONO STATI NELLE PRECEDENTI EDIZIONI DIVERSI MIEI INTERVENTI SUL TEMA DI ABBIGLIAMENTO VINTAGE, FLEA MARKET E TENDENZE CHE COPRONO IL MONDO DELLA MODA IN GENERALE. ANCORA MI DIVIDO TRA LA MIA ATTIVITÀ DI PROMOTER E QUELLA DI COLLEZIONISTA DI ABITI VINTAGE DA ORMAI 15 ANNI, PITTIUOMO È ALLE PORTE E COME AL SOLITO SI CREA L’ OCCASIONE PERFETTA PER INCONTRARE, IN QUEI GIORNI, ALCUNI DEGLI OPINION LEADER DELLA MODA VINTAGE, DEI SEMPLICI APPASSIONATI, OPPURE PROPRIETARI DI NEGOZIO SELLER ONLINE. ANCHE PER QUESTO APPUNTAMENTO EDITORIALE NE HO INTERVISTATI UN PAIO, ED ANCHE IN QUESTA CIRCOSTANZA È VENUTA FUORI UNA BELLA CHIACCHIERATA TRA AMICI CONDITA DA ALCUNE CURIOSITÀ. QUESTA VOLTA SONO RIMASTO NEI CONFINI DELLA PENISOLA, PER VALORIZZARE CIÒ CHE QUELLI PIÙ BRAVI DEFINISCONO ‘MADE IN ITALY’.

DANIELE LETTIERI

Nell’ormai lontano 2018 mi recai, per la prima volta, nel magazzino di Ercolano, dove Daniele e la sua famiglia (da tre generazioni) gestiscono Military Goods, vendita all’ingrosso e al dettaglio di abbigliamento militare e d’epoca. Ricordo che mi accolsero da subito come un “fratm”, nonostante fossi completamente sconosciuto.
Le ore di assoluta libertà e naturalezza nel girare il magazzino, visitare liberamente gli hangar selezionati per esercito, tipologia, provenienza ed età, per pattern, furono impagabili. Ho ancora nelle orecchie le ‘urla’ che ogni tanto sentivo quando era pronto il caffè; tutto ciò fa parte dei ricordi indelebili, custoditi nel profondo dell’anima. Ma torniamo a noi ed all’intervista a Daniele.
Come e quando è nato Military Goods? Quando hai capito che quello stava diventando il tuo lavoro?
Military Goods come nome di azienda e società nuova nasce esattamente nel 2011. Tuttavia già in passato io e la mia famiglia facevamo sempre lo stesso lavoro, infatti attualmente siamo alla terza generazione, ma con un’azienda precedente che aveva un altro nome. Durante la mia adolescenza, quando frequentavo la scuola media ma poi anche alle superiori, nei periodi estivi andavo sempre in deposito da mio nonno e poi da mio padre e mio fratello. Nei primi anni era giusto per perdere tempo e non stare per strada, poi all’inizio delle superiori ho iniziato ad appassionarmi a questo lavoro, e da semplice passatempo crebbe in me il desiderio di andarci sempre più frequentemente; durante il periodo invernale iniziavo ad alternare scuola e lavoro.
Una volta diplomato ho realizzato che il mio posto era lì, in mezzo a quelle montagne di abiti militari.
Cosa spinge oggi le persone ad acquistare capi vintage?
Diciamo che oggi il vintage non è più quello di una volta, poi ognuno ora ha una sua idea e cultura su di esso. Oggi comprare vintage è cool, è da fighi, ma in effetti sono poche le persone che realmente capiscono un vero capo vintage; diciamo che spesso si pensa di comprare una cosa usata appiccicandoci sopra l’etichetta ‘vintage’ ma sappiamo che non è proprio così.
Qual è il tuo rapporto coi social? Li reputi utili nel tuo lavoro?
Purtroppo il rapporto con i social per me non è molto buono, soprattutto a livello personale, non amo condividere quello che faccio nella vita, preferisco godermi gli attimi e i momenti belli o brutti in maniera abbastanza privata. Per il mio lavoro però è molto utile, ma oggi per chi non lo è. I social ci garantiscono la possibilità di essere visibili ovunque … da qualche anno, infatti, con l’introduzione delle vendite online riusciamo a vendere fino alla Nuova Papuasia!

MAJINBUX

Sicuramente per gli appassionati del settore nella home delle vostre piattaforme social vi è apparso un suo qualche video al mercato, dal più celebre Porta Portese, ai mercati rionali che Roma e la sua periferia offre: ecco Simone, meglio conosciuto come Majinbux.
Come nasce il tuo interesse per i capi vintage? Quando hai capito che da ciò poteva nascere il tuo lavoro?
Il mio interesse reale nasce circa 5 anni fa, quando durante il Covid, complice anche la convivenza, ho avuto la necessità di tagliare il budget per le spese d’abbigliamento. Al tempo spendevo molti soldi in vestiti, quindi dovevo trovare una soluzione più economica ed alternativa. La soluzione si palesò iniziando a frequentare i mercatini per vestirmi; dove con un po’ di ricerca e di pazienza riuscii a trovare dei capi simili ai nuovi, ma con un prezzo nettamente inferiore. Col trascorrere del tempo ed indossando questi capi, le persone iniziarono a chiedermi dove trovassi questi vestiti così difficili da reperire.
Fu a quel punto che realizzai che frequentando più mercati potevo vestire altre persone nello stesso modo. Cominciai così ad acquistare capi che avrei comprato per me, che avrei potuto indossare io, ma per terze persone.
Qual è il tuo rapporto coi social? Li reputi utili nel tuo lavoro? E perché?
Con i social ho un rapporto di amore ed odio. Amo condividere le mie passioni e alcuni segreti di questo mestiere, ma allo stesso tempo essere troppo esposti ti fa perdere il controllo sulla realtà. Purtroppo però sono importanti nel mio lavoro di rivendita, perché generano traffico nel mio profilo, facendomi diventare un personaggio in questo mondo; ciò che mi permette di vendere!
Qual è stato il tuo più grande ritrovamento, quello che ti ha dato maggiore soddisfazione?
Circa un anno fa, sono riuscito a trovare una maglia vintage del 1992, realizzata in solo 100 esemplari al mondo, di The Undertaker, il mio wrestler preferito, di un valore superiore a 500 euro. Quel giorno capii che dovevo specializzarmi in maglie da collezione.

 

HARRIS VIGNOZZI

Harris si divide tra Praga e Firenze, dove nel 2023 ha aperto Clochard9.2, il suo negozio in via dei Serragli.
(Per conoscerlo ancora meglio vedi thePLAYERS 21, ndr).
Qual è stato il tuo più grande ritrovamento, quello che ti ha dato maggiore soddisfazione?
Il primo ritrovamento importante che mi viene in mente, e probabilmente quello che mi ha dato più soddisfazione, è stato l’acquisto di una collezione di capi in denim che abbraccia il periodo che va dagli anni ‘40 fino ai ‘70.
La collezione apparteneva ad un signore che viveva a Reykjavík. Non ci avevo mai parlato direttamente, ma ricordo che presi un volo e andai nella capitale islandese senza sapere davvero se fosse tutto vero o fosse una bufala.
Quando entrai nella stanza dove custodiva i capi, per poco non svenni: mi ritrovai di fronte ad un vero tesoro vintage, qualcosa che non dimenticherò mai!
Un capo o un accessorio senza il quale non puoi uscire di casa?
Probabilmente gli occhiali da sole. Per il resto, non ho nulla di veramente indispensabile; mi piace sentirmi libero quando mi vesto.

 

PIFEBO SHOP

Probabilmente quando si parla di vintage shop nella capitale ci viene in mente un solo negozio, che sia quello in via dei Serpenti, nel quartiere San Giovanni, oppure quello in via dei Valeri, con vista Colosseo. Abbiamo parlato con Cristiano, uno dei tre fondatori assieme ad Elisa e Francesco.
Come e quando è nato Pifebo? Vi sentite precursori del ‘movimento’ nella piazza romana e non solo?
PIFEBO nasce nel 2007 da una fortissima passione: quella per la ricerca del capo unico all’interno dei vari mercati. Abitavamo tutti vicino ad un mercato e, fin da piccoli, scendevamo a curiosare per cercare pezzi speciali, era per noi qualcosa di meraviglioso.
Un momento che ci ha segnato profondamente è stato quando, durante un viaggio a Stoccolma, siamo rimasti piacevolmente
colpiti nel vedere, all’interno di un negozio vintage, dei ragazzi suonare dal vivo mentre la gente faceva acquisti. Anche se nel settore erano già presenti grandi professionisti, veri e propri mostri sacri, possiamo dire di aver portato in città, e forse tra i primi in Italia, un approccio diverso al vintage: più contemporaneo, colorato, fresco e strettamente legato al mondo dello streetwear.
Come è cambiata la clientela nel tempo?
Nel 2007 la nostra clientela era composta principalmente da una nicchia di persone consapevoli, alla ricerca del pezzo unico e interessate di second hand. Oggi il pubblico si è ampliato moltissimo: il vintage e il second hand sono ormai pienamente sdoganati. La critica al fast fashion è diventata un tema di grande attualità, e ci troviamo a lavorare con un pubblico sempre più vasto e trasversale, sia per età che per background socio-culturale.
Lavorate anche con persone che frequentano ambienti cinematografici?
Sì, collaboriamo quotidianamente con produzioni cinematografiche e musicali che si rivolgono a noi per l’acquisto di capi o per consulenze stilistiche, soprattutto in riferimento a periodi storici come gli anni ’80 fino ai 2000. Inoltre, all’interno dei nostri punti vendita sono stati girati film e videoclip musicali, occasioni che ci hanno permesso di entrare in contatto con grandi artisti.
Cosa spinge oggi le persone ad acquistare capi vintage?
L’acquisto oggi è sempre più consapevole, anche i più giovani stanno uscendo dalla logica imposta dal fast fashion, quella del vestirsi tutti allo stesso modo, vittime della produzione in serie e della necessità di appartenenza. Per fortuna si riscopre il valore dell’unicità, dello stile personale. E in un negozio come il nostro, come in tanti altri vintage store, è possibile trovare capi non solo unici, ma anche di altissima qualità.

di Lorenzo Don

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