Cover story: ROBERTO MANCINI
ABBIAMO AVUTO IL PIACERE DI INTERVISTARE, AD INIZIO ESTATE (giugno 2022, ndr), ROBERTO MANCINI,...
“ SE VUOI CHE IL TUO SOGNO SI AVVERI, DEVE VALERE PIÙ DELLA TUA STESSA VITA”. E BEN DI VITE NE HA VISSUTA PIÙ DI UNA!
È un bambino nato a Fez, in Marocco, orfano di padre, che lascia il suo Paese in cerca di un futuro migliore. È un giovanissimo ragazzo che di notte lavora in una panetteria e di giorno pensa alla moda, riuscendo a farsi strada come designer di pelletteria per i brand del lusso italiano.
È un giocatore di calcio, il cui cuore cede proprio in campo. È un ventiseienne in coma farmacologico per mesi che attende un donatore. È l’uomo che riceve un cuore nuovo e che decide di “vivere la vita migliore che potesse desiderare”, creando Benheart. Un brand che ha tanto cuore, e non solo nel nome. Benheart affonda le proprie radici nel distretto manifatturiero di Scandicci, vero presidio dell’alta qualità artigianale italiana, e dal 2012 è riuscito velocemente ad affermarsi, contando oggi 13 negozi nel mondo e importanti clienti internazionali, tra i quali Barack Obama, Will Smith, Lenny Kravitz, Orlando Bloom, oltre a molte celebs nazionali.
Alle giacche in pelle, realizzate anche con il servizio su misura, si affiancano scarpe e un’ampia gamma di accessori, dalle cinture agli zaini, di alta qualità artigianale e personalizzabili al momento.
Per thePLAYERS ho intervistato Ben nel suo negozio di Via dei Calzaiuoli, rivisitazione contemporanea di una tradizionale bottega fiorentina.
Ben, qual è la chiave del successo di Benheart?
A determinare il successo sono tanti fattori, ma sicuramente la chiave di Benheart sta nella mia forza di volontà, nella determinazione che io metto in quel che faccio, nella mia voglia di non mollare mai, neanche nei momenti più difficili. Benheart è il mio sogno e lo sto ancora inseguendo: in questo momento, a prescindere dal fare, disegnare o creare, o dall’incontrare le persone giuste, credo che contino la tenacia, il non mollare, che diventano poi la chiave del successo. In tanti si arrendono, fiaccati dalle battute di arresto, dalle difficoltà, dai colpi del destino, e sono pochi quelli che poi vanno avanti, il successo per me sta lì.
Il brand ha un legame profondo con la tua storia personale: quanto incide questo sulla creatività e sui risultati?
Il mio brand è rappresentato dalla mia storia e la mia storia è rappresentata dal mio brand. Sono un tutt’uno, c’è un legame indissolubile. Nei momenti difficili sento tutto il peso della mia storia, il mio Paese lasciato a cinque anni viaggiando su una delle tante ‘barche della speranza’, i sacrifici di mia madre, il mio cuore malato e il trapianto, la mia salute. Sono diventato grande che ero ancora un bambino e sento ancora oggi la responsabilità di riuscire, di essere forte, di andare avanti.
Mi accorgo che aver vissuto enormi difficoltà è stato per me una grande opportunità e che da lì mi arriva un’enorme energia positiva. E metto questa energia in quel che creo: ho voglia di mordere la vita, di godermela, di essere riconoscente a chi mi ha lasciato il proprio cuore in eredità. Sento la voglia di dire a mia mamma che ce la sto facendo, di darle quello che non ha avuto dalla vita, di continuare a sentirmi dire da chi incontro Ben, sei forte, sei grande, continua così. Ben, hai fatto qualcosa di incredibile. E così immagino le mie creazioni e ci metto tutto me stesso per continuare a restituire quello che ho ricevuto e provare a fare di più.
Chi è l’uomo che sceglie i suoi prodotti e quali sono oggi i suoi mercati principali?
Chi indossa una giacca o un accessorio Benheart deve non solo sentirsi bello, ma deve sentirsi sicuro di sé. Quando un uomo indossa una mia giacca deve sentire di stare indossando un capo fatto con il cuore, con la passione, con la determinazione. Tutti fattori che danno grinta al prodotto, che gli donano personalità e forza. L’uomo Benheart è un uomo deciso e convincente. Tra i principali mercati di Benheart sono sicuramente gli Stati Uniti.
E poi anche i Paesi orientali: ho moltissimi clienti cinesi e poi iniziano ad affacciarsi molti coreani, giapponesi, indiani. Una fetta importante è anche il mercato interno, perché gli italiani sanno come vestire bene e riconoscere un prodotto di qualità.
Qual è il capo iconico di Benheart?
Senza dubbio il giubbotto Michelangelo, in pelle dall’effetto stropicciato, che rappresenta l’autentico spirito dell’artigianato italiano. È il capo più famoso, il più amato, il più richiesto. E rimane anche il mio preferito.
C’è un’esperienza professionale di cui vai particolarmente fiero?
Sì e ogni volta che ne parlo mi emoziono. Ho avuto il privilegio di realizzare delle giacche su misura per Ronaldo, O Fenômeno. Avevo 13-14 anni e un grande amore per il calcio: questo ragazzo brasiliano di umili origini, cresciuto a Bento Ribeiro (quartiere alla periferia nord di Rio de Janeiro, ndr), di cui parlavano tutte le trasmissioni televisive, era il mio idolo. La sua storia mi ha ispirato e vederlo indossare le mie creazioni e sentirmi dire “io sono Il Fenomeno nel calcio, ma tu, Ben, sei il fenomeno delle giacche di pelle” è stata un’emozione indescrivibile, quasi un riscatto, avrei voluto tutti gli amici intorno, tanto che mi sono tatuato sull’avambraccio la firma che mi ha lasciato quel giorno.
Come ti descriveresti?
Fuori di testa. In senso buono, ovviamente. Se mi fermo a pensare alle mie condizioni di salute, al trapianto di cuore, alle cure che affronto e alle medicine che devo prendere a vita, dovrei rallentare e vivere una vita senza voli intercontinentali, senza notti insonni e con ritmi di lavoro più lenti. Ma io sono un entusiasta, io amo la vita e amo quello che faccio: e quindi viaggio per il mondo, dalla Cina agli Stati Uniti, dall’Arabia al Giappone per far conoscere il mio marchio ed espandere il mio business, a
volte non dormo per 3-4 giorni e non dico mai “non posso”.
Ci racconti una tua giornata tipo?
Con o senza sveglia, alle sette mi alzo. Ho davanti un’ora per uno dei momenti più belli della giornata: stare con i miei figli. Insieme facciamo colazione, li vesto e accompagno a scuola i due più piccoli. Non so a che ore tornerò la sera, perché le mie giornate sono piene, a volte lunghissime e fatte di tante attività diverse. Mi occupo di controllo qualità, poi di disegno e modellistica, seguo le vendite in negozio, curo i rapporti con i clienti e i fornitori. Il mio lavoro non conosce sosta, anche se esco per pranzo o prendo un caffé. Il mio personaggio, la mia faccia, i miei capelli mi rappresentano e rappresentano il mio brand, quindi in qualsiasi attimo io sto lavorando.
Cosa ti ispira?
Mi piace tantissimo sapere di essere un esempio di integrazione vincente, un esempio positivo di riscatto, di successo dato dalla volontà di credere in un sogno, dall’amore per la vita che ho rischiato di perdere. Essere un esempio, per i miei figli, per i miei amici, per i miei clienti, per le persone che incontro, mi dà una grande carica. Io sono nato in un altro Paese e a me l’Italia ha dato tutto: un’istruzione, una famiglia, il mio lavoro e io sento di dover restituire tutto questo e di doverlo fare con entusiasmo e riconoscenza. Questa è la mia ‘benzina’.
Qual è il tuo stile? Cosa ti piace indossare?
Devo dire di non essere molto attento a come mi vesto, mentre metto molta cura in come mi esprimo e come mi comporto, quello sì. Penso che puoi essere vestito senza particolare ricercatezza, ma se sai esprimerti bene, se sai trasmettere qualcosa agli altri, indosserai qualcosa che nessun costoso o costosissimo outfit può mai darti: il carisma. Un capo per me irrinunciabile sono pantaloni neri, ne ho tanti e molti sono uguali.
Cos’è per te il Made in Italy?
Nel mio petto batte un cuore italiano, di cui sono grato e estremamente orgoglioso. Vado fiero che il mio brand sia identificato con l’Italia e con il Made in Italy, è per me un grande vanto. Quando vado all’estero, nel mio Paese o in altri, mi accorgo di quanto il fatto in Italia sia apprezzato e cerco con Benheart di amarlo, di proteggerlo e di rappresentarlo al meglio.
Sarai a Pitti Uomo per la prima volta: cosa ti aspetti da questa edizione?
Spero di sentire un’energia nuova, quella carica che può farci ritornare ‘ai tempi d’oro’, spazzando via questa tristezza che da troppi anni fa da sottofondo a tutto: prima la Pandemia, poi l’innesco della crisi economica, l’instabilità mondiale e le guerre. C’è bisogno di tornare a guardare il futuro con gioia e ottimismo.
di Marta Coccoluto
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