COVER STORY: ANTONIO DE MATTEIS

LA VOCE ARRIVA AFFABILE E PROFONDA DALL’ ALTRO CAPO DEL TELEFONO, UN VELOCE SCAMBIO DI BATTUTE E SUBITO HO CHIARA LA CIFRA DI ANTONIO TOTÒ DE MATTEIS, AD E DIRETTORE CREATIVO DEL MENSWEAR DEL GRUPPO KITON E, DA FEBBRAIO SCORSO (febbraio 2023, ndr), PRESIDENTE DI PITTI IMMAGINE. UNA DETERMINAZIONE DI FERRO E UN GRANDE FIUTO RACCHIUSI IN UN TEMPERAMENTO SOLARE E OTTIMISTA, DI CHI CREDE PROFONDAMENTE NEL PROPRIO LAVORO E NEL POTERE DEL FARE.
De Matteis esordisce a fianco dello zio Ciro Paone nel 1986, maturando velocemente quella profonda conoscenza a tutto tondo dell’azienda che lo porterà a ricoprire i ruoli di Direttore Commerciale nel 1990, di Direttore Marketing nel 2005, fino al vertice come AD nel 2007. Sotto la guida appassionata, innovativa e creativa di De Matteis Kiton arriva a contare oggi cinque siti produttivi, un organico di 800 persone, 60 flagship nelle più importanti città del mondo, tra cui Milano, Tokyo, Seul, New York, Londra, e un fatturato che nell’ultimo biennio è cresciuto del 60%, raggiungendo 162 milioni di euro.

Qual è la chiave del successo di Kiton?
I punti cardine del nostro successo sono la coerenza, la ricerca costante della qualità, la centralità della famiglia, la continuità.

Quanto contano ricerca e innovazione in Kiton?
Ricerca e innovazione fanno parte del DNA di Kiton, puntiamo su esse da sempre. Credo che le aziende del settore moda, e più in generale tutte le aziende che vogliono assicurarsi un futuro solido, abbiano il dovere di innovare e fare ricerca. Oggi riuscire a vivere su quello che si è fatto in precedenza, per quanto di successo, è molto difficile: bisogna essere molto innovativi, fare ricerca sulle materie prime, sulla modellistica, essere aziende in continua evoluzione.
Il vostro welfare aziendale fa scuola: come e quanto incide questo tipo di approccio sul business e sulla brand strategy?
Oggi tutti parlano di sostenibilità: noi di Kiton lavoriamo sulla sostenibilità sociale da sempre e siamo un’azienda riconosciuta nel mondo per questo. Abbiamo sempre curato il benessere delle persone che lavorano con noi. La nostra retribuzione media è tra le più alte d’Italia, non voglio spingermi a dire che è quasi il doppio, ma posso dire che siamo molto vicini: paghiamo tra i 42 e i 43mila euro ad addetto, contro una media tra i 23 e i 27mila euro.

Come si resta autenticamente fedeli alle proprie origini proiettando il business sui mercati internazionali?
Con una mentalità diversa da quella comune, che sappia giocare di anticipo, e tramandando mestieri che non sono replicabili altrove, almeno non con la stessa ostinata passione, perché sono legati al territorio. Per noi di Kiton la famiglia è motivo di orgoglio, fare per il territorio è uno sprone che la sera ci fa andare a dormire con il cuore pieno di gioia, se questo poi si riesce a fare con piacere ed entusiasmo personali, la combinazione è perfetta. La Scuola di Alta Sartoria è stata, ormai più di venti anni fa, un investimento essenziale: allora l’età media dei nostri dipendenti superava i cinquant’anni, sfiorando i 55. Abbiamo capito quanto fosse necessario pensare a una nuova generazione di sarti e di artigiani e abbiamo aperto le porte della Scuola ai giovani in cerca di un’opportunità in un territorio dove è più difficile scommettere sul proprio futuro. Oggi l’età media in azienda è scesa a 36-37 anni e siamo riusciti a cambiare la percezione del lavoro artigianale, educando le nuove generazioni e trasmettendo loro quel patrimonio di saper fare indispensabile a dare lunga vita alla tradizione della sartoria napoletana. Abbiamo iniziato nel 2000 con grandissima difficoltà a trovare una decina di ragazzi disponibili a imparare il mestiere. Dopo il primo corso – che durava tre anni, oggi quattro – tutti e dieci i ragazzi sono stati assunti e questo ha fatto da volano a un passaparola che ne ha cambiato la percezione: oggi riceviamo 300- 400 domande per 25-30 posti, in un corso dove i discenti ricevono da noi un rimborso spese per frequentare la Scuola e avere un minimo per mantenersi. Una mentalità la nostra all’opposto di quella più diffusa, dove la formazione si paga.

Cosa hanno tolto e cosa invece hanno lasciato i difficili anni della Pandemia?
Il Covid ha costretto il mondo a fermarsi, ma paradossalmente invece di essere un rallentatore di processi, ne è stato un vero e proprio acceleratore. Oggi le aziende che avevano investito in innovazione e ricerca poco prima della Pandemia e che hanno continuato a farlo durante quei difficilissimi e incerti anni stanno raccogliendo frutti di quel tipo di approccio e stanno crescendo in modo significativo.

Cosa c’è nel futuro di Kiton?
Kiton è in fermento continuo. Nel nostro futuro c’è sicuramente la crescita del womenswear, un progetto iniziato tre anni fa su cui lavoriamo con grande intensità. Se oggi il settore donna costituisce il 20% del fatturato, il nostro obiettivo è portarlo al 50% nei prossimi 5 anni. Siamo inoltre molto concentrati sull’espansione del network retail, con un’attenta programmazione delle relocation e aperture in città dove non siamo presenti. La nostra attenzione è rivolta anche ai canali wholesale, che restano un bel ‘campo di battaglia’. Investiamo molto anche nel marketing, che vediamo sempre più diretto e orientato sul consumatore finale.

Lo store di Londra

Quale è il suo pensiero sul nostro sistema moda? Il Made in Italy è ancora ingrado di orientare il gusto internazionale?
Credo che si possa ammettere con grande onestà che il settore moda è quello che meglio ha reagito ai contraccolpi della Pandemia e che ha recuperato più velocemente nel post emergenza sanitaria. Un grande plauso va a tutti noi che ci siamo rimboccati le maniche per cercare di recuperare i numeri del 2109 e di farlo nel più breve tempo possibile, senza tentennamenti e mettendoci anche in discussione di fronte alle grandi sfide del presente. Quanto all’Italia, sì, io penso che abbia la capacità di influenzare la moda nel mondo. I grandi gruppi guardano all’Italia, riconoscendo ampiamente e a livello mondiale la nostra capacità di fare intere produzioni – e di altissima qualità – nel nostro Paese.

Il menswear attraversa una congiuntura internazionale sfidante: cosa vede nel futuro del settore?
Vedo la necessità di investire in modo significativo in ricerca e innovazione, che sono le chiavi per superare le incertezze del futuro. Abbiamo sulle spalle tre anni davvero difficili, c’è una guerra alle porte dell’Europa e lo spettro della recessione aleggia su tutti i media. Io credo invece che sia importante non perdere lo slancio ereditato dal post emergenza: ci sono una grande voglia di godersi la vita e un gran bisogno di sentir parlare di cose positive. C’è desiderio di bellezza, di autenticità, di eleganza, di gentilezza, di educazione. Parole che sembra stiano scomparendo dal vocabolario della nostra contemporaneità e che invece dobbiamo riportare al centro.

Kiton, collezione PE23

Kiton, collezione PE23

Kiton, collezione PE23

Cosa si aspetta da questa (giugno 2023, ndr) edizione di Pitti Uomo?
Una grande edizione, in  continuità con la precedente ma con ancora più slancio, entusiasmo e partecipazione, di buyers, della stampa, di visitatori. Due-tre settimane fa ho incontrato tanti buyers, ho percepito un sentiment molto positivo, vedremo cose nuove. Devo ringraziare chi mi ha preceduto per aver lasciato un Pitti in grande salute.

PItti Games, il tema dell’edizione 104 di Pitti Immagine Uomo

Ha fatto quel che desiderava da bambino?
Credo proprio di sì. Come mi ha insegnato mio zio, “se non avessi fatto questo lavoro, avrei pagato per poterlo fare”. Sono molto contento di quel che ho fatto, anzi che abbiamo fatto. Siamo cinque cugini alla guida dell’azienda, ciascuno con compiti diversi, e il merito dei nostri risultati è diviso egualmente tra tutti. La nostra è una realtà che è ancora famiglia.

Come si descriverebbe?
Sono un uomo propositivo, sempre positivo. Sono una persona tranquilla e riesco a trasmettere serenità a chi mi sta intorno. Non mi esalto nei momenti di gloria e non mi deprimo nei momenti difficili, cerco di mantenere equilibrio e guardare avanti. Nel mio ufficio, che ha la porta sempre aperta ed è al piano terra dell’azienda, c’è un cartello con su scritto “Vietato Lamentarsi”: sono un uomo orientato alle soluzioni, perché i problemi si presentano ogni giorno e vanno affrontati.

Può scegliere di avere un super potere: qual è?
Vorrei avere il potere di trasformare il nostro pianeta in un mondo senza frontiere, senza barriere, senza confini. Sogno di poter viaggiare senza passaporto, di potermi muovere ovunque nel mondo e sì, vorrei avere il potere di creare un mondo di pace, di benessere, di cibo e di risorse per tutti. Un mondo senza sprechi, dove ci sia spazio e opportunità per tutti. E su questo, c’è tanto, tantissimo da fare.

di Marta Coccoluto

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